di Maurizio Borghi

Dal girone infernale di coloro che hanno abusato di aria condizionata, ecco l’ennesima incarnazione dei Soulfly. Max Cavalera soffre innegabilmente di sovraesposizione e paga in termini di orario nel cartellone, ma il suo carisma non si scalfisce. Incastrato tra chitarra, mimetica urbana e i capelli informi, immobile col Sole in fronte, il leader e capofamiglia si conferma in una performance al di sopra della sufficienza, che pesca dalla lunga discografia della band e, con poca originalità, dal repertorio dei Sepultura (“Refuse/Resist” e “Roots Bloody Roots” cominciano a diventare troppo ovvie). Immutabili nei secoli dei secoli anche le trovate sceniche, dai cori da stadio alla maglia della nazionale italiana, al pezzo con figli e nipoti, rispettivamente Richie e Igor Jr.. Le novità di quest’anno sono ovviamente un Tony Campos super efficiente (dagli esordi negli Static-X, Campos è oggi diventato un turnista di lusso) e un David Kinkade esaltato dall’amplificazione. Chiusura con l’accenno di “Angel Of Death” degli Slayer, poi rapidamente mutata in “Eye For An Eye”, che ha condotto i Soulfly al congedo dall’ennesima calata italica. W la familia!

Soulfly

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